L'ESPLORAZIONE DELLO SPAZIO

ll rendez-vous orbitale - La grande avventura ha inizio: destinazione Luna - La conquista dei pianeti - Orbite interplanetarie - Traiettorie di minor tempo o brachistocrone - La precisione - Guida e navigazione interplanetaria dei veicoli spaziali  - L’uomo nello Spazio - Crociere cosmiche

ll  rendez-vous  orbitale

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La grande avventura ha inizio: destinazione Luna

La conquista dei pianeti

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Orbite interplanetarie

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Traiettorie di minor tempo o brachistocrone

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La precisione

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Guida e navigazione interplanetaria dei veicoli spaziali

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L’uomo nello Spazio

Il volo dell’uomo rappresenta per l’esplorazione dello Spazio il più importante e significativo momento nella conquista del Cosmo. Questo avverrà per tappe successive e comprenderà prima il Sistema Solare, di cui oggi si affronta l’esplorazione con congegni automatici, per passare successivamente al resto dell’Universo.  Sebbene l’impiego dei robot automatici nell'osservazione dei corpi celesti rappresenti un passo molto significativo con un enorme sforzo tecnologico e scientifico rivolto all’acquisizione del più gran numero di informazioni "ravvicinate" ad alto contenuto qualitativo, questi per quanto raffinati ed evoluti sono idonei soprattutto per alcuni programmi in quanto in altri la capacità di analisi richiesta presuppone caratteristiche di intuizione, di valutazione, di flessibilità e di esperienza, che sono proprie solo dell’essere umano. Un asteroide occasionale, l’influenza del quale non era stata prevista, potrebbe, per la sua attrazione, o per la sua pericolosità, far deviare il razzo dalla traiettoria prefissata. Inoltre quando si manifestassero le imprecisioni insite sia nei calcoli che nel compimento dei programmi, spetterebbe all’insostituibile equipaggio umano apportare le necessarie modifiche per raddrizzare la traiettoria mediante l’uso dei motori a reazione di tipo elettrico o chimico. Questo è soltanto uno dei motivi per cui le missioni con equipaggio acquisteranno sempre un rilievo prioritario nell’ambito dell’esplorazione spaziale, per la quale l’uomo è, anche fisiologicamente, più pronto di quanto un’analisi superficiale possa far pensare.  L’uomo infatti è una creatura del Sistema Solare; prova incontestabile ne è la sua visione, limitata solo alla banda d’onde dal rosso al violetto (da 4.000 ad 8.000 Angstrom), a cui corrisponde il massimo nell’emissione dello spettro della Stella che ci dà la vita. In un Sistema Solare in cui la Stella dovesse emettere onde d’ampiezza minore di 4.000 o superiore agli 8.000 Angstrom egli sarebbe del tutto cieco. 

In realtà nessun progresso tecnologico o genialità di soluzione nel concepire e realizzare la tecnica di locomozione dell’uomo nello Spazio potrà dare il via all’esplorazione degli astri, se non si risolvono contemporaneamente i vari problemi di ordine biologico, medico e psicologico che emergono dal bisogno di far sopravvivere e lavorare l’uomo in un ambiente improprio, in quanto se l’astronautica vera e propria presuppone necessariamente la presenza umana nelle missioni interplanetarie, ciò comporta aumenti nel peso dei veicoli e la necessità di generare una gravità artificiale.

Nell’incessante proiezione verso il futuro, alla medicina spaziale spetterà il compito di risolvere i relativi problemi e ricercare le soluzioni necessarie ad affrontare e superare le avversità di un simile viaggio, se infatti il corpo umano si adatta discretamente all’assenza di gravità, non avviene cioè alcuno scompenso fatale alla vita degli astronauti, la stessa provoca diversi effetti secondari negativi. Il frutto del lavoro di ricerca biomedica finalizzato al superamento di tali scompensi produce delle ricadute sanitarie, con immediati effetti positivi nella vita quotidiana sulla Terra, la cui importanza non é inferiore rispetto a quelle tecnologiche (miniaturizzazione e trasmissione dati) che si sono generate a seguito delle missioni per la conquista della Luna.

Ipotizzando un volo nello spazio cosmico della durata di diverse centinaia di giorni, le principali  questioni da risolvere sarebbero quelle di approvvigionamento dell’equipaggio e quelle relative alle condizioni atte ad assicurare il comfort all’interno dell’abitacolo.

Per poter vivere, l’organismo umano che compie un lavoro continuativo deve assorbire nelle 24 ore 140 grammi di sostanze proteiche, altrettanti lipidi, circa 400 grammi di idrati di carbonio ed alcuni grammi di sali minerali e vitamine, per raggiungere le 2.800 Kcal necessarie al suo fabbisogno. Inoltre l’uomo utilizza da 2 a 5 litri di acqua al giorno. In tal modo la sua razione alimentare giornaliera media ha un peso di 3-4 chilogrammi, cui va aggiunto l’ossigeno necessario alla respirazione che avrà un peso di 1 chilogrammo. Cinque chilogrammi nelle 24 ore per persona, rappresentano una provvista di 150 chilogrammi al mese, 1,8 tonnellate se il volo cosmico dovesse durare un anno; senza contare che, con la propulsione di tipo balistico, ci si troverebbe ad affrontare una durata di decine di anni avendo come meta i pianeti più lontani del Sistema Solare. In questo caso le provviste avrebbero un peso di decine e centinaia di tonnellate.

Per semplificare le necessità di approvvigionamento converrà vedere la situazione sotto un’ottica tale per cui soltanto per voli brevi, come quello sulla Luna e ritorno, si penserà di portare con sé l’intera provvista di alimenti, acqua ed ossigeno, mentre per i voli più lunghi si organizzerà l’astronave in modo che sia in grado di auto-rifornirsi delle sostanze necessarie alla vita.

In tal senso l’approvvigionamento di acqua costituisce il problema minore, poiché l’organismo umano elimina più acqua di quanta non ne assorba direttamente. Essendo l’acqua uno dei prodotti finali della trasformazione degli alimenti l’eccedenza di quella eliminata rispetto a quella assorbita è di circa 400 grammi nelle 24 ore. Per purificare l’acqua che si recupera dall’organismo converrà applicare la distillazione.

Né sarà più difficile il problema dell’estrazione dell’acqua eccedente dall’aria. L’uomo emette nel respirare un’aria molto arricchita di umidità, come si può vedere respirando su uno specchio freddo dove apparirà la macchia del vapore acqueo condensato. Per eliminare l’umidità superflua dell’aria e recuperare una quantità d’acqua si dovrà far passare quest’aria attraverso una serpentina a temperatura più fredda dove l’acqua condenserà secondo il procedimento che avviene normalmente in ogni frigorifero. Nello spazio cosmico avendo la possibilità di raggiungere facilmente temperature di -100 °C o -150 °C semplicemente ponendo la serpentina dalla parte dell’ombra, si potrà anche purificare l’aria dalla presenza dell’anidride carbonica che liquefà alla temperatura di -78 °C ed in tale stato l’abbandona.

Più complesso è il problema di rifornire l’equipaggio di ossigeno e di prodotti alimentari; invero anch’esso è risolvibile tenendo presente che l’anidride carbonica viene utilizzata dalle foglie verdi delle piante che mediante fotosintesi clorofilliana assorbono il carbonio rendendo ossigeno all’aria. L’attività degli organismi animali è, invece, accompagnata dall’assorbimento di ossigeno e dall’eliminazione del gas di anidride carbonica. Questi due processi si possono agevolmente far equilibrare anche in un piccolo ambiente come è quello di una cabina spaziale. L’intento è quello di imitare il processo che a grande scala avviene nell’atmosfera terrestre all’interno dell’astronave creando un microclima ideale con aria condizionata e coltura delle piante.

Per la ricostituzione dell’ossigeno è stata proposta l’utilizzazione delle alghe in appositi acquari con la parte trasparente rivolta al Sole. In una simile coltura artificiale l’aria verrebbe soffiata attraverso l’acqua e, durante il suo passaggio, si libererebbe dell’anidride carbonica, arricchendosi nello stesso tempo di ossigeno. Fornita di queste colture artificiali, l’astronave potrebbe rimanere nello spazio cosmico per un tempo indeterminato, senza rinnovare le proprie provviste.

Con riferimento al microclima nella cabina abitata si richiederà in particolare lo smaltimento del calore prodotto dall’equipaggio e dalle apparecchiature di bordo allo scopo di evitare l’innalzamento della temperatura all’interno del veicolo.

Non meno importante tra i fattori da considerare è quello dato dal raggiungimento delle elevate velocità che si richiedono per i voli spaziali. La velocità del mezzo per sé stessa, anche se elevatissima, non altera le condizioni psico-fisiche del pilota; le difficoltà provengono dal fatto che, oltre certi limiti, lo sfasamento tra la velocità di reazione del pilota ed il percorso compiuto nell’unità di tempo diventa pericoloso.

Il tempo di reazione psicomotrice, ossia l’intervallo di tempo intercorrente tra la percezione cosciente di un ostacolo o di una situazione nuova e la messa in opera dei movimenti atti a fronteggiare l’evento inaspettato, dipende dalla velocità di conduzione degli stimoli lungo le vie nervose e varia da 0,2 secondi (se la reazione è automatica) fino a 2 secondi (se il pilota deve fronteggiare una scelta che rende necessaria l’associazione in relays di un certo numero di centri nervosi).

Fermo restando in ogni caso il tempo di reazione psicomotrice, se si viaggia a 20 km/sec l’astronave può percorrere da 4 km a 40 km prima che il pilota sia in grado di reagire ad una nuova situazione; si comprende perciò come si rendano indispensabili sistemi perfezionati di pilotaggio automatico, nei quali la velocità di reazione è praticamente pari a quella delle onde elettromagnetiche.

Un’influenza diretta sulle condizioni psico-fisiche del pilota avranno invece le variazioni di velocità e cioè l’accelerazione e la decelerazione. L’organismo umano, ottimamente adattato alle condizioni terrestri, compresa l’attrazione di gravità che viene presa come unità di misura dell’accelerazione “g”, mal si presta a sopportare notevoli accelerazioni. Poiché le accelerazioni attualmente necessarie in astronautica sono dell’ordine di 3-6 g ne derivano modificazioni sull’organismo umano riguardanti le funzioni circolatoria e respiratoria. A ciò si aggiunga lo schiacciamento dei visceri in direzione opposta a quella di marcia.

La diversa posizione del pilota può far diminuire o aumentare gli effetti dell’accelerazione, specie gli spostamenti della massa sanguigna.  Stando ritti in piedi od anche seduti, il sangue tende a raccogliersi negli arti inferiori, accentuando così i fenomeni di insufficiente irrorazione cerebrale e viscerale. In posizione sdraiata, invece, lo spostamento si esercita perpendicolarmente all’asse maggiore del corpo ed in egual misura per tutta la lunghezza del corpo stesso, cosicché gli effetti sono minori.

Gli effetti dell’accelerazione possono venire ulteriormente attenuati dall’uso delle cosiddette tute anti-g, costituite da diversi involucri entro i quali si può realizzare una pressione elevata e quindi una maggiore contenzione della massa sanguigna.  Anche il sistema neuro-muscolare risente degli effetti dell’accelerazione. L’abilità e la coordinazione motoria diminuiscono e l’energia muscolare necessaria ai movimenti aumenta fino al punto che a partire da 6 g la mobilità delle braccia e delle gambe viene a scomparire totalmente.  Valori di accelerazione fino a 7 g anche per diversi secondi, quali quelli riscontrati durante il rientro dei veicoli Apollo, vengono tollerati senza disturbi notevoli dall’organismo umano addestrato. Però valori superiori anche di poco possono essere applicati solo per tempi più brevi, giacché inducono ben presto lesioni che possono andare dalla frattura delle ossa a quelle degli organi interni.  Nel caso dello Space Shuttle i valori di g sono tra i più bassi e vanno da circa 3 in salita a circa 1,5 in discesa; quelli in discesa, malgrado siano di minore intensità, sono più pericolosi per la loro direzione rispetto all’asse del corpo, motivo per cui a volte gli astronauti svengono. 

Vanno inoltre tenute in considerazione le modificazioni, tra loro strettamente connesse, della pressione barometrica e della composizione atmosferica. Queste modificazioni, se si oltrepassano determinate distanze dalla Terra, diventano incompatibili con la vita e richiedono un isolamento completo del pilota dall’ambiente esterno, in atmosfera artificiale.  Già a 7.500 metri di altitudine la pressione parziale di ossigeno nell’atmosfera è talmente ridotta (59 mm/Hg) da non poter più soddisfare le esigenze respiratorie. A 20.000 metri, poi, la pressione barometrica diviene inferiore al valore della tensione di vapore a temperatura corporea (47 mm/Hg), cosicché l’acqua contenuta nell’organismo entra in ebollizione; fenomeno ovviamente incompatibile con la vita.

La realizzazione di una atmosfera artificiale impone soprattutto la scelta di una pressione barometrica e di una composizione atmosferica ottimale. La pressione barometrica in una cabina astronautica va fissata anche tenendo conto delle possibilità di perforazione della cabina da parte dei meteoriti. Un simile evento, per quanto molto improbabile, produrrebbe nell’ambiente una decompressione brusca e totale, per cui gli astronauti verrebbero ad essere sottoposti alla sola pressione esistente nella tuta spaziale anti-g 145 mm/Hg, o peggio ancora al vuoto spaziale; le conseguenze di questa decompressione dell’organismo sono comunque disastrose non appena il rapporto tra la pressione ambiente iniziale e la pressione finale viene a superare il valore di 2,3. E’ quanto si è verificato con la Sojuz 11 nel giugno del 1971 quando, una brusca decompressione a bordo della navicella durante il rientro, ha causato la morte istantanea dei suoi tre occupanti. La pressione barometrica ottimale all’interno di una cabina non deve quindi superare il valore di 300 mm/Hg, in modo che il rapporto 300/145 = 2,06 risulti inferiore a 2,3. 

Quanto ai gas che dovranno formare l’atmosfera artificiale all’interno della cabina il problema principale riguarda la pressione parziale dell’ossigeno che deve essere tale da evitare ogni fenomeno di ipossia (e quindi non inferiore a 145 mm/Hg) e da non provocare l’egualmente nefasta sindrome da iperossia (e quindi non superiore a 380 mm/Hg). Oltre l’ossigeno, andrà incluso nell’atmosfera artificiale anche un gas inerte con lo scopo di rallentare le combustioni e diminuire i rischi di incendio. Il migliore gas inerte per questo fine si presenta l’elio. Anche l’anidride carbonica dovrà essere presente nell’atmosfera artificiale in quantità adeguata, pertanto non potrà essere inferiore a 0,2 mm/Hg (pressione esistente nell’atmosfera naturale al livello del mare) e superiore ad un limite di sicurezza fissato in 3 mm/Hg.  

La realizzazione di un’atmosfera artificiale ottimale e costante a bordo del veicolo spaziale potrebbe venire risolta sfruttando la fotosintesi clorofilliana, una reazione nella quale si ha liberazione di ossigeno ed assorbimento di anidride carbonica all’interno delle foglie verdi delle piante.  Una coltura di alghe sufficientemente estesa e convenientemente illuminata potrebbe servire allo scopo. Anzi l’alga Chlorella è particolarmente indicata perché ha una reazione fotosintetica straordinariamente elevata. Un chilogrammo di quest’alga sospesa su una superficie di 10 mq e sufficientemente illuminata può fornire tanto ossigeno quanto ne consuma un uomo. La coltura di alghe presenterebbe oltre tutto il vantaggio di essere mantenuta per mezzo delle deiezioni umane liquide e solide (risolvendo al contempo anche il problema della loro eliminazione) ed essere utilizzata a scopo alimentare, realizzando in tal modo un ciclo ecologico uomo-alghe interamente chiuso.

Un’altra complessa questione da affrontare è quella relativa alla mancanza di gravità, infatti mano a mano che ci si allontana dalla Terra, l’attrazione da essa esercitata diminuisce gradualmente fino a scomparire del tutto creando uno stato di agravità, cioè di assenza di peso. All’interno di un’astronave che si sposta in volo libero nello spazio la gravità è sempre uguale a zero a meno che non si crei artificialmente con la rotazione stessa dell’astronave, o con la propulsione durante tutto il tempo del volo cosmico.
Le conseguenze fisiologiche dell’agravità sono varie e difficili da risolvere poiché hanno degli effetti sulle funzioni di equilibrio e di orientamento. La nozione di alto e basso perde ogni significato, mentre i disturbi sensoriali si accompagnano spesso a vertigini, nausea e vomito, dando luogo a un nuovo tipo di cinetosi chiamato mal di spazio che colpisce dal 30 al 50 per cento degli astronauti. Analogamente al mal di mare, il mal di spazio si può attenuare o eliminare completamente abituando l’organismo umano con esercizi appropriati e con medicine adatte allo scopo. Alla mancanza di gravità è connessa la decalcificazione che si verifica nelle ossa con una perdita di calcio che può arrivare al 15-18% per lunghe permanenze nello spazio dell’ordine di 6-7 mesi (come hanno verificato gli astronauti Russi all’interno delle stazioni orbitali del tipo Saljut e Mir).


Sottrarsi alla gravità significa sostanzialmente modificare in differenti gradi i vari organi e le funzioni del corpo umano: il sistema vestibolare nell’orecchio interno (che determina il mal di spazio), quello endocrino e cardiovascolare con variazioni anche sulla circolazione sanguigna (il cuore fatica meno a pompare il sangue per cui la distribuzione della massa sanguigna varia inducendo variazioni di pressione sul corpo e sul cervello), la struttura ossea ed i tessuti muscolari (l’assenza prolungata di gravità rimpicciolisce il cuore ed atrofizza i muscoli), nonché le funzioni digestive e quelle immunologiche.
Tutte le patologie riscontrate negli astronauti sono causate dalla sindrome di adattamento spaziale che ha origine nell’assenza di gravità e si manifestano più vistosamente nei primi giorni di volo. C’è da osservare che, nonostante si temesse inizialmente per le perturbazioni cardio-vascolari dovute all’assenza di gravità, esse sono state sopportate dagli astronauti anche per lunghi periodi di tempo con pochissimi inconvenienti.


Nei voli di lunga durata vanno infine considerati i problemi psichici causati dalla solitudine e dalla lontananza dalla Terra che se attualmente vengono mitigati dall’addestramento psicologico a cui sono sottoposti gli astronauti, a lungo andare, potrebbero essere eliminati attrezzando le astronavi con equipaggi numerosi.
Se l’uomo è una macchina complessa e sensibile e dal punto di vista spaziale è più fragile che sulla Terra, la storia dell’evoluzione insegna che gli esseri più complessi e versatili hanno saputo trionfare sulle avversità esterne assai meglio di quelli più semplici e meno adattabili. 
Dopo le esperienze positive di questi primi decenni è ragionevole pensare che le difficoltà che si potranno presentare saranno superabili in un certo lasso di tempo in funzione dell’interesse e della costanza che si porrà per risolverle.

Il coraggio, l’intelligenza e la tenacia hanno fatto il mondo moderno ed è ragionevole pensare che saranno in grado non solo di consentire la realizzazione delle aspettative descritte in questo libro, ma anche di ciò che oggi va al di là della stessa immaginazione.


Si possono elencare molteplici valide ragioni pratiche per cui l’uomo dovrebbe aspirare alla conquista dello spazio, ma tra esse la più impellente al giorno d’oggi sembra essere quella della limitata quantità di risorse energetiche che assai presto costringerà l’uomo a spingersi verso l’ignoto alla loro ricerca. Quello che ci si auspica nel futuro é un’attività spaziale con sinergie integrate tra gli enti degli Stati interessati che evitando di sprecare importanti risorse in progetti concorrenziali, indirizzi la ricerca verso una reale conquista del Cosmo. 

Crociere cosmiche

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Note
[1] Stralci dall'ultima versione del libro Prospettive dell'Era Spaziale (2003)